alla finestra

Immaginate di stare alla finestra, di notte, al sesto piano o al settimo o al quarantatreesimo piano di un edificio. La città si rivela come un insieme di celle, centinaia di migliaia di finestre, alcune buie, altre inondate di luce verde o bianca o dorata…Inizia così il libro di Olivia Laing. Titolo: città sola.
Io abito veramente al sesto piano, e l’edificio si trova in cima a una salita in uno dei quartieri più alti di Roma: Monteverde vecchio, la zona vicino al Gianicolo.
Non mi ero mai affacciata alla finestra, o meglio mai per tanto tempo come ho fatto da marzo 2020 in poi, nei giorni del lock down.
Dopo l’annuncio alla televisione di rimanere tutti chiusi in casa per evitare il pericolo di contagio, con l’imperativo di osservare il divieto di circolazione, improvvisamente il silenzio ha invaso la città.
Un silenzio assoluto, irreale… un silenzio mai sperimentato. Mai conosciuto.
La città vuota e sola.
Mi era presa la struggente voglia di andare a fotografare la mia Roma, sarei uscita all’alba, di corsa giù per la scalinata che porta in Trastevere, poi sarei entrata nel centro storico percorrendo le vie interne che lo attraversano… ma non ho avuto il coraggio di uscire. Temevo la municipale, le guardie, la multa salata, i carabinieri e soprattutto mi immaginavo il virus pronto ad attaccarmi. Ho avuto paura.
Allora ho iniziato a guardare dalla finestra.

Una metà della finestra s’è spalancata
una metà dell’anima s’è mostrata.
Su, apriamo anche l’altra metà,
anche l’altra metà della finestra! (Marina Cvetaeva)

Una mattina ho sorpreso il mio dirimpettaio con il binocolo incollato agli occhi: immobile, concentrato. Ho seguito la traiettoria che da lui andava in direzione laterale e ho capito che stava spiando la sua dirimpettaia, in un palazzo laterale al mio. Non mi ero mai accorta di avere un vicino spione. Mai avevo notato che nel piccolo superar attico di fronte, ricavato dal restauro di un ex lavatoio, e quindi reso indipendente rubando una porzione al terrazzo condominiale, ci abitasse un tizio enorme con un cannocchiale sempre al collo. Ho quindi sistemato immediatamente le tende nell’unico lato del mio appartamento che può esser visto da lui. Per controllare quanta possibilità potesse avere per vedermi, dopo la scoperta, ogni mattina ho iniziato io a spiare lui facendo capolino tra una pianta e l’altra. Di notte poi è stato più facile, perché lui ha delle luci e lucette in stile natalizio sempre accese che lasciano intravedere cosa succede, io invece sono completamente al buio.

Non c’è nulla di più profondo, di più misterioso, di più fecondo, di più tenebroso, di più abbagliante di una finestra illuminata da una candela. Quanto si può vedere al sole è sempre meno interessante di quanto avviene dietro un vetro.
E che importa quella che è la realtà fuori di me, se essa mi ha aiutato a vivere, a sentire che esisto e quel che sono? (Charles Baudelaire – piccole poesie in prosa)

Giorno dopo giorno ho iniziato a fotografare la vita fuori dalla finestra. Nel silenzio. Dall’alba al tramonto. Poi durante la notte. A volte così concentrata da saltare i pasti. Inizialmente ho seguito una coppia di tortorelle che si affaccendava per costruire un nido di fronte a me. Proprio nell’appartamento sottostante il vicino spione. Con il teleobiettivo seguivo il volo della tortorella che, tenendo nel becco un rametto, si infilava nel sottotetto, sistemava alla meglio la composizione e ritornava a volare per cercare altro materiale utile al suo nido. A volte le tortorelle volavano insieme, si vezzeggiavano tra una pausa e l’altra. Quando il vicino con il binocolo non c’era salivano al piano di sopra, da lui, sostavano sul palo di ferro che tiene le luci e lucette, baciandosi con il beccuccio, sono riuscita a fotografare i loro momenti. Poi al calar della sera le tortorelle non c’erano più, allora ho iniziato a prestare più attenzione agli umani. In breve tempo avevo imparato riti e turni: dalla signora che fuma la sigaretta dopo pranzo, a quelli che vanno, sempre alla stessa ora nel tardo pomeriggio, a fare ginnastica sul terrazzo condominiale. Quindi mi preparavo la macchina fotografica e con il giusto appostamento potevo fotografare ogni cosa. Il teleobiettivo mi permetteva di arrivare anche ai palazzi oltre la strada: ho trovato uno spiraglio di osservazione che in tanti anni non avevo mai notato, si trova nell’angolo estremo, dove si congiungono i due lati del mio terrazzo, (la elle della veranda) cioè tra una colonna dove poter stare nascosta agli occhi del palazzo laterale e la tenda per sottrarmi allo sguardo del vicino spione. Dal mio angolo nascosto ho iniziato a fotografare il tramonto. A marzo il sole sparisce tra due palazzi, e nel fare ciò sono stata catturata dalla vita degli altri. Potevo osservare i preparativi della cena in un appartamento mentre in quello di sotto qualcuno metteva in ordine la camera, in contemporanea un altro faceva ginnastica sul balcone e all’ultimo piano un signore lavorava al restauro di un piccolo comodino. Man mano che si faceva buio avevo la visione di tante celle illuminate, proprio come ho letto nell’inizio del libro di Olivia Laing, e la crescente curiosità di “vedere cosa fanno gli umani” mi ha tenuta sveglia per tante notti.
In tutte le case, in tutte le finestre, al di là della facciata c’è un mondo che non conosciamo. Ho intensificato lo sguardo, il guardare attraverso le finestre è stato un modo per raccontarmi il mondo, tra ciò che si vede e ciò che resta oscuro.

Dietro quella finestra
la cui tenda non muta
situo la vista di lei
che l’anima studia in sé stessa
nel desiderio che la rivela.
Ogni volta che posso sognare,
ogni volta che non vedo, situo
il trono in quel luogo;
oltre la tenda il focolare,
oltre la finestra il sogno. (Fernando Pessoa – trentacinque sonetti)

Avevo cancellato il ricordo di quel periodo chiusa in casa.
Oggi, due novembre 2020 un piccolo dettaglio mi ha riportata a quei giorni.
La pandemia mi ha dato nuove abitudini, e mi ha insegnato a lasciar andare le cose. Mi sono resa conto di quanto poco ho bisogno. Cioè non ho bisogno di comprare ancora vestiti, di andare chissà dove, di vedere da vicino quella “cosa tanto pubblicizzata”. Durante il lock down ho imparato a distinguere le priorità e continuo a tenerle: l’incertezza del futuro mi fa risparmiare sulle cose non necessarie, compro l’essenziale giorno dopo giorno, cerco di non sprecare: non si sa mai cosa accadrà domani e potrebbe non esserci più nulla. Forse c’è chi ha passato la pandemia chiuso in una grande villa o su un’imbarcazione da favola mentre altri sono morti di fame e di stenti, altri sono impazziti chiusi in quaranta metri quadri… ma non ci sono pareti che possono separare le persone. Gli amici sono stati sempre presenti malgrado la loro assenza fisica. Gli affetti si sono manifestati in nuovi modi.
Il sogno di un mondo diverso, in me, è ancora più forte ed è lì che voglio andare.
In un mondo dove tutti si vogliono bene e dove non esiste la violenza.
Il giorno di Pasqua nel terrazzo condominiale del palazzo di fronte hanno organizzato una tavolata. Due famiglie sono arrivate con mascherine e piatti di carta, portando sedie e ombrelloni, bottiglie, contenitori e giochi; in contemporanea, oltre la rete di divisione, nell’altra porzione di terrazzo altri hanno organizzato il pranzo, per cui, trovandosi nella stessa situazione, si sono apparecchiati vicini ma “distanziati” e si sono scambiati bevande, piatti, persino telefonini, perché avevano così tanto da raccontarsi che ogni tanto dovevano mostrare le foto del cellulare.
Sono rimasti sul terrazzo tutto il pomeriggio. Fino al tramonto.
Io non sono salita sopra il mio terrazzo condominiale, che se volevo dovevo fare solo una rampa di scale. Ho sentito che qualcuno andava in monopattino, su e giù da un lato all’altro, ma sono stata contenta di sentire tutto il rumore, il vociare gioioso dei bambini, la vita che in qualche modo ha voluto farsi sentire. Manifestarsi…
Dobbiamo vivere nel presente e rilassarci un po'. Quante volte l’ho sentito dire, sembrano parole scontate, ma solo adesso ne colgo il vero significato.
L’esperienza di solitudine può contenere il mondo se è vissuta con occhi disincantati e cuore aperto. Osservare gli altri alla finestra mi ha indotto a riflettere sulla vita, ma anche sulla mia esistenza, sul mio tempo, su quello che conta, sulle relazioni, quelle che nutrono e quelle che mi danneggiano…
Sto ancora riflettendo sulla mia visione del mondo e del dono che posso fare al mondo.
Senza aver paura.